Suicidio assistito. Il codice deontologico dei medici non dovrebbe essere modificato (da quotidianosanita.it del 5 dicembre 2019)

Data:
6 Dicembre 2019

Con la recente sentenza della Corte Costituzionale non viene statuito nel nostro ordinamento un nuovo “diritto” soggettivo, cioè il diritto dell’ammalato di richiedere, anzi di esigere dal medico una prestazione, appunto il suicidio assistito. Rimane una facoltà, cioè una possibilità a lui concessa quando versa in determinate situazioni soggettive, di cui sia titolare, e a cui non corrisponde un “dovere”, cioè un obbligo da parte del medico

05 DIC – Il suicidio medicalmente assistito è tra le questioni più controverse e dibattute per le evidenti implicazioni etico-deontologiche e per gli aspetti che riguardano gli scopi e la prassi dell’arte medica, l’assetto giurisprudenziale e le scelte legislative. Grande rilievo a tal fine assume la recente sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale del 26 settembre 2019, le cui motivazioni sono state depositate qualche settimana fa, chiamata ad esprimersi in merito al giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, che contempla il reato di istigazione o aiuto al suicidio, con la quale si stabilisce che non è punibile l’agevolazione da parte del medico al suicidio dell’ammalato, che trovasi in determinate condizioni.

Uno degli aspetti di cui si dibatte dopo la sentenza è l’eventuale modifica del codice deontologico per uniformarlo alle decisioni della Corte ed importante è la dichiarazione del presidente delle FNOMCeO Filippo Anelli che ha affermato che il Consiglio Nazionale della federazione “valuterà integrazioni del Codice deontologico per applicare la sentenza della Corte Costituzionale” (Ansa. Roma 23 novembre 2019).

Con la sentenza non viene statuito nel nostro ordinamento un nuovo “diritto” soggettivo, cioè il diritto dell’ammalato di richiedere, anzi di esigere dal medico una prestazione, appunto il suicidio assistito, mentre rimane una facoltà, cioè una possibilità a lui concessa quando versa in determinate situazioni soggettive, di cui sia titolare, e a cui non corrisponde un “dovere”, cioè un obbligo da parte del medico.

Difatti i giudici della Consulta affermano nella citata sentenza N. 242 che “la presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici. Resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato”.

Quindi se non c’è un diritto, non c’è nessun dovere, e neppure la possibilità di sollevare obiezione di coscienza, che fonda il suo principio sugli aspetti morali ai quali l’obiettore in definitiva si rivolge per sottrarsi a norme previste e imposte dalla legge, come per esempio per la L. 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza o per la L. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita (ed anche per la L. 413/1993 sulla sperimentazione animale che preveda la vivisezione e per la L. 772/1972 sul servizio militare obbligatorio).

Quindi se una legge non obbliga, il codice non recepisce e perciò non c’è nessuna rivendicazione dell’affermazione del carattere extra-giuridico dello stesso che deve adeguarsi alla legislazione.

Pertanto, per le considerazioni appena svolte, è anche improprio soprattutto il riferimento alla legge sull’aborto (194/78), laddove si sostiene che il codice deontologico ha recepito tale legge e quindi analogamente così dovrebbe avvenire per una legge sul suicidio assistito.

La legge 194/78 prevede il “diritto” all’interruzione di gravidanza da parte della donna e il codice deontologico all’art. 43 lo considera, prevedendo però anche che “l’obiezione di coscienza si esprime nell’ambito e nei limiti dell’ordinamento”. Così come del “diritto” alla procreazione medicalmente assistita ne parla l’art. 44 del codice, nel quale pure “sono fatte salve le norme in materia di obiezione di coscienza”.

Tra l’altro il Comitato Centrale della Fnomceo il 14 marzo 2019 ha approvato il parere della Consulta Deontologica Nazionale della stessa federazione, dove si dice che “ove il legislatore ritenga di modificare l’art. 580 c.p. e, quindi, di non ritenere più sussistente la punibilità del medico che agevoli ‘in qualsiasi modo l’esecuzione’ del suicidio, restano valide e applicabili le regole deontologiche attualmente previste nel Codice”. E tale risoluzione è stata presentata al Comitato Nazionale per la Bioetica 21 marzo 2019.

Pertanto riteniamo che il codice deontologico nella sua formulazione inerente il fine vita, soprattutto riguardo all’art. 17 (Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte) deve rimanere immodificato.

Indubbiamente, seppure per casi particolari e rari, cambia il paradigma dell’arte medica e ma nello specifico non cambia la sua deontologia e neppure il codice deontologico.

Tra l’altro riteniamo che se venisse modificato tale articolo, si dovrebbe mettere mano anche ad altri articoli del codice in particolare l’art. 3 (“Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona….” ) e l’art. 18 (I trattamenti che incidono sull’integrità psico-fisica sono attuati al fine esclusivo di procurare un concreto beneficio clinico alla persona), ecc.; articoli tutti manifestamente indicativi del favor curae e favor vitae.

Come pure dovrebbe modificarsi il giuramento del medico, che è contestuale al suo inizio alla pratica professionale, laddove si riportano le medesime parole del citato art.17.

Né a nostro giudizio, come del resto pure enunciato dal parere del CNB del 18 luglio 2019 sull’argomento, sembra da sostenere l’indicazione dei giudici della Consulta che ritengono che il suicidio medicalizzato dovrebbe far parte della legge 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), perché verrebbe alterata l’alleanza di cura medico-paziente, che prevede certamente la rinuncia/rifiuto ai trattamenti ma non certamente il suicidio assistito.

Esso invece a nostro parere dovrebbe essere previsto nell’art. 580 c.p., nel quale rimane il reato di istigazione o aiuto al suicidio per chiunque altro, ma verrebbe contemplata una scriminante di non punibilità della condotta del medico che agevola la volontà suicidaria del paziente, quando ricorrono particolari circostanze, così come indicate dalla Consulta.

Così atteso, si avrebbe che il medico che sceglie di prestarsi a “esaudire la richiesta del malato”, non sarebbe perseguibile dalla legge nel caso specifico. Nel codice deontologico al contrario deve rimanere il divieto, che tutti i medici devono osservare, di procurare o favorire la morte come sancito dall’art. 17, prescrizione di carattere generale e universale (vedi anche documento del 2017 di forte opposizione al suicidio e all’eutanasia della World Medical Association) che non prevede, né può prevedere, eccezioni e casi specifici.

Indubbiamente a nostro giudizio s’è inserito comunque con la sentenza della Consulta, un grave vulnus nell’esercizio dell’arte medica, giacchè siamo convinti che, anche senza determinarne un obbligo, assecondare la volontà suicidaria del paziente rivesta per il medico un drammatico impedimento, perchè egli sente “in coscienza” di essere in conflitto morale con se stesso, e pertanto con il suo rifiuto al suicidio medicalizzato, riafferma la tradizione, la prassi millenaria, i valori e gli scopi della medicina, che gli vietano qualsiasi intervento che determini la morte del paziente, come da sempre sancito dal codice deontologico.

Giuseppe Battimelli
Vice presidente nazionale Associazione    Medici Cattolici Italiani (AMCI)
Vice presidente nazionale Società Italiana per la Bioetica e i Comitati Etici (SIBCE)

Ultimo aggiornamento

6 Dicembre 2019, 08:47

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