Differenziale retributivo tra donne e uomini. Limiti dello studio Eurostat e possibili soluzioni (da quotidianosanita.it del 20 febbraio 2018)

Data:
20 Febbraio 2018

Lo studio accomuna i lavoratori di due aree: Sociale e Sanità, due aree difficilmente accomunabili. Vengono inoltre accomunate, senza differenziarne i risultati, le diverse figure professionali presenti in sanità. Nelle professioni non dirigenziali e nella dirigenza di ruolo il differenziale retributivo è inferiore di quello medio dichiarato dallo studio. Il differenziale esistente non dipende da “gabbie salariali di genere”, ma da cause insite nella diversa tipologia di lavoro svolta

19 FEB – Un certo scalpore ha suscitato lo studio EUROSTAT sulle retribuzioni (2014) nel mondo sanitario italiano pubblicato su Quotidiano Sanità del 7 febbraio 2018 per il differenziale di circa 12000 euro evidenziato a danno delle donne. Cui ha fatto seguito il solito rituale di critiche ai sindacati, non permeabili alle istanze di genere, il che dimentica che le piu grosse confederazioni hanno segretari generali donne, o incapaci di proporre soluzioni.

Per analizzare il dato, occorre comprendere se le cause dipendano dall’esistenza diffusa e ordinaria di “gabbie salariali di genere”, ovvero da fattori strutturali derivanti da una diversa tipologia di lavoro svolta da lavoratori maschi e femmine, o da fattori contingenti esterni al lavoro e alla professione.


Criticità in merito allo studio
• Lo studio accomuna nella sua indagine statistica sulla retribuzione i lavoratori di due aree: Sociale e Sanità. La tipologia e complessità del lavoro, l’organizzazione delle attività, il ruolo e l’impegno della donna lavoratrice e l’articolazione della retribuzione, rendono però le due aree difficilmente accomunabili in una indagine statistica unitaria, essendo troppe le differenze fra le loro condizioni di base.

• La retribuzione media ricavata dallo studio dei lavoratori dell’area sociale e di quella sanitaria, accomunate insieme, è circa il 37% di quella media percepita nel 2014, e anni successivi, dalla sola dirigenza del ruolo sanitario. Questo succede perchè tale tipologia di personale, che rappresenta il tetto retributivo, costituisce il 15% circa di tutto il personale di queste aree oggetto dello studio.

• Lo studio accomuna sia il settore pubblico che privato, senza differenziarne i risultati. In questo modo la media dimentica che la retribuzione del Dipendente Pubblico è soggetta ad alcune norme contrattuali di derivazione legislativa e ad alcune tutele che impediscono le “gabbie salariali”. Norme e tutele di norma poco presenti o poco rispettate nel mondo del settore privato, dove invece prevalgono quasi sempre le logiche del “mercato”.

• Lo studio infine accomuna, senza differenziarne i risultati, le diverse figure professionali presenti in sanità (OSS, Infermieri professionali, Tecnici, Personale amministrativo, Dirigenti amministrativi, Dirigenti delle professioni infermieristiche, Dirigenti sanitari, Dirigenti medici, ecc.). Anche in questo caso non tiene conto che le caratteristiche del lavoro, delle competenze richieste e dell’organizzazione in cui devono operare sono profondamente diverse e incidono spesso in modo significativo nella selezione del personale e nella retribuzione. Inoltre non si tiene conto di condizioni proprie delle donne: la gravidanza, il parto e le aspettative correlate.

Cause dirette del differenziale retributivo fra i dipendenti pubblici che lavorano in Sanità
Nelle professioni non dirigenziali di tipo assistenziale e amministrativo, a mio parere, il differenziale retributivo è inferiore di quello medio dichiarato dallo studio. Tale differenziale non dipende dall’esistenza al livello contrattuale e/o legislativo di “gabbie salariali di genere”, volutamente mirate a penalizzare le lavoratrici donne, quanto da cause legate alla diversa tipologia di lavoro svolta, preferita per motivi pratici dalle lavoratrici donne, o a fattori contingenti esterni al lavoro e alla professione.

Il personale femminile, quando può, tende a scegliere in percentuale significativa, incarichi ed attività lavorative con orari e turni a sviluppo solamente diurno e/o rapporti di lavoro a part time, che permettono di conciliare il lavoro con gli impegni familiari, con la conseguenza di una minore retribuzione, perchè viene a mancare la retribuzione per i turni notturni, le pronte disponibilità, il lavoro straordinario, ecc..
La gravidanza, il parto e le aspettative correlate determinano inoltre, poco o tanto, una riduzione della retribuzione annua.

Nella dirigenza del ruolo sanitario il differenziale retributivo è sicuramente inferiore ai valori medi dichiarati dallo studio, in termini percentuali ed anche in valore assoluto.
Le cause sono le stesse, anche se in misura meno significativa, di quelle esaminate per le professioni non dirigenziali.
Ad esse se ne deve aggiungere però una terza, specifica per la dirigenza.

La presenza in percentuale elevata di donne nella dirigenza del ruolo sanitario dipendente del Ssn è un fenomeno relativamente recente, che si è realizzato progressivamente negli ultimi 20 anni. Lo dimostrano i dati: le donne con età inferiore a 50 anni sono oggi più del 50% di tutti i dipendenti medici. Fra i dirigenti medici con età superiore a 50 anni prevalgono invece quelli di genere maschile.
Dal momento che la retribuzione è strettamente legata alla carriera e questa è in buona parte legata all’esperienza e quindi all’anzianità professionale, il differenziale retributivo è conseguente in buona parte anche ad una minore anzianità professionale media delle dirigenti del ruolo sanitario di genere femminile rispetto a quello di genere maschile.

Cause indirette esterne al lavoro ed alla professione
Il fatto che il differenziale retributivo esistente nel settore Sanità Pubblica non dipenda da “gabbie salariali di genere”, ma da cause insite nella diversa tipologia di lavoro svolta, non ci deve comunque fare negare che parte del differenziale esistente è condizionato in modo indiretto dalla necessità delle lavoratrici donne di compendiare contemporaneamente esigenze di lavoro con esigenze familiari, soprattutto legate alla presenza di figli in età prescolastica. Questa esigenza le spinge verso la ricerca di attività con orari meno disagiati, meglio se diurni o addirittura a part time.

Possibili soluzioni atte a ridurre il differenziale retributivo
Questo differenziale retributivo dovrebbe essere in parte ridotto potenziando tutte quelle iniziative sociali miranti a facilitare l’impegno della lavoratrice madre (asili nido aziendali e/o di prossimità, scuole materne, orari di apertura e chiusura di questi, rette più accessibili economicamente, ecc.) e, dove possibile, introducendo condizioni organizzative del lavoro che permettano una maggiore flessibilità di orario. Per abbatterlo bisognerebbe pensare alla introduzione di una indennità,fissa e congrua, di maternità, se è vero, come è vero, che la maternità rappresenta un valore sociale il cui costo deve essere assunto dalla comunità,anche in termini monetari. La stessa indennità dovrebbe essere data al padre, in caso di unico genitore affidatario dei figli.

Giuseppe Montante
Vice Segretario Nazionale ANAAO ASSOMED

Ultimo aggiornamento

20 Febbraio 2018, 15:11

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