SENTENZE VARIE: “Primario penalmente responsabile per omessa compilazione della cartella clinica”, “Omessa indicazione dell’esito della TAC nella cartella clinica – Medico assolto”; ” Medico di base – Nessuna responsabilità se non prescrive un’amniocentesi senza il parere dello specialista “

Data:
28 Febbraio 2015

Da Newletter dell’Ordine dei Medici di Udine

Primario penalmente responsabile per omessa compilazione della cartella clinica

La responsabilità della definitiva ed ufficiale formazione della cartella clinica è pacificamente rimessa al responsabile del reparto, nella specie al primario, quale pubblico ufficiale, che è tenuto con la sua sottoscrizione ad accertarne la completezza e regolarità.

FATTO: La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 01/07/2014, ha confermato la condanna di C.G. in relazione al reato di cui all’art. 328 c.p. , comma 1 pronunciata dal Tribunale di Modica con provvedimento del 15/12/2010, conseguente all’omessa compilazione a cura dell’interessato, nella sua qualità di primario responsabile del reparto di ortopedia del locale ospedale, di un rilevante numero di cartelle cliniche.

DIRITTO: Deve confermarsi la corretta qualificazione giuridica dei fatti, attesa, preliminarmente, la pacifica natura di atto pubblico della cartella clinica (Sez. 6, Sentenza n. 9872 del 30/05/1975 imp. Cericola, Rv. 132104) e la circostanza che la responsabilità della sua definitiva ed ufficiale formazione è pacificamente rimessa al responsabile del reparto, nella specie al primario, quale pubblico ufficiale, che è tenuto con la sua sottoscrizione ad accertarne la completezza e regolarità. In tal senso quindi, per l’ampia funzione che assolve la cartella clinica, il documento deve considerarsi sempre finalizzato a garantire la compiuta attuazione del diritto alla salute, a prescindere dalla presenza di una urgenza sanitaria conseguente alla prosecuzione del trattamento, posto che conseguenze impreviste delle terapie somministrate ben potrebbero profilarsi a distanza di tempo e richiedere un immediato accertamento, nell’interesse del paziente che è titolare di un diritto alla ricezione tempestiva degli atti; in tal senso conseguentemente questo atto che deve essere sempre formato senza ritardo, risultando la sua formazione sempre funzionale a ragioni di sanità. Se il diritto del paziente al rilascio della cartella è incondizionato e non deve essere sorretto dall’illustrazione della causale, risulta conseguentemente necessaria l’immediata attivazione del sanitario in caso di istanza di rilascio, considerato che in realtà la formazione della cartella dovrebbe precedere la richiesta, in ragione della tipologia della documentazione, costituita da un diario che va compilato in prossimità degli eventi, verificato dal sanitario responsabile in concomitanza con gli stessi, per consentire l’effettività di tale controllo, attivazione che, per quanto accennato, pacificamente nel caso di specie non risulta essere intervenuta).

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Omessa indicazione dell’esito della TAC nella cartella clinica – Medico assoltoPubblicato il 26-02-2015

Non sussiste l’elemento soggettivo del delitto di falso, in quanto la TAC é stata ufficialmente e tempestivamente disposta, attraverso una richiesta telematica non occultabile, e i suoi esiti sono stati comunicati alle infermiere, le quali, in conseguenza, ne avevano fatto annotazione nel loro diario.  Pertanto le omissioni contestate all’imputato non possono essere ricondotte ad una scelta volontaria e consapevole.

 

 

FATTO: Con sentenza del 04/11/2013 la Corte d’appello di Milano, decidendo sull’appello proposto dalla parte civile e dal P.M., ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva assolto I.F. dal reato di cui all’art. 479 c.p. , per avere, quale medico di guardia del reparto di neurochirurgia dell’ospedale —, omesso di riportare in cartella clinica quanto accaduto a partire dalle 21,30 del 5 giugno 2007 e, in particolare, che l’infermiera di turno gli aveva riferito un peggioramento delle condizioni del paziente G.F.D. e che era stata richiesta una TAC urgente, nonché gli esiti di quest’ultima, registrati unicamente sul diario infermieristico, con erronea valutazione TAC invariata. Il capo di imputazione era poi stato integrato, nel corso del dibattimento, attraverso il riferimento alla mancata annotazione in cartella clinica delle valutazioni di competenza sull’esito del referto e sulla scelta terapeutica adottata.

DIRITTO: La Corte territoriale, ricordato che il Dott. I. era stato assolto, in separato procedimento, dalla parallela imputazione di lesioni colpose aggravate in danno del medesimo G., ha ritenuto l’insussistenza, nel caso di specie, dell’elemento soggettivo del delitto di falso, in quanto la TAC era stata ufficialmente e tempestivamente disposta, attraverso una richiesta telematica non occultabile, e i suoi esiti erano stati comunicati alle infermiere, le quali, in conseguenza, ne avevano fatto annotazione nel loro diario. E, tuttavia, nel caso di specie, tanto con riferimento all’omessa annotazione della TAC disposta e dei suoi esiti quanto con riguardo alle scelte terapeutiche adottate, i giudici di merito hanno concentrato la loro attenzione non sul profilo oggettivo del reato, ma su quello psicologico, traendo da una serie di indici fattuali (quali la non occultabile richiesta telematica dell’esame disposto e la comunicazione del suo esito alle infermiere), la conclusione, priva di qualunque manifesta illogicità, che le omissioni contestate all’imputato non potevano essere ricondotte ad una scelta volontaria e consapevole. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che, se anche il medico, una volta esaminati gli esiti della TAC, avesse scientemente deciso di non riportarli in cartella clinica, per mascherare una negligente condotta terapeutica, non ne avrebbe parlato con il personale infermieristico. Ne discende che non si può, ancora una volta contraddittoriamente, supporre che l’imputato avesse omesso le annotazioni per occultare il carattere colposo della propria scelta attendista e poi avesse lasciato tracce ineliminabili dell’accertamento che avrebbe potuto smascherare la negligenza che aveva sorretto il suo agire terapeutico).

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Medico di base – Nessuna responsabilità se non prescrive un’amniocentesi senza il parere dello specialistaPubblicato il 26-02-2015

Rientra invero nei doveri informativi del buon sanitario allertare il paziente sui pericoli connessi all’espletamento di indagini invasive, invitandolo a consultare, prima di prendere una decisione definitiva al riguardo, l’esperto del settore.

 

FATTO: Con citazione notificata il 14 giugno 2003 R.F. e B.R., in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulla piccola A., convennero innanzi al Tribunale di Rovigo M.S., L.M.C., l’Azienda ULSS 18 di Rovigo e la Casa di Cura Privata Città di Rovigo, per ivi sentirne accertare la responsabilità in ordine alla nascita della figlia, affetta da sindrome di Down, con conseguente condanna degli stessi al risarcimento dei danni.Esposero che i predetti professionisti, l’uno medico curante della madre, e l’altra ginecologa, nonché‚ moglie del M., non avevano adempiuto all’obbligo di fornire ai genitori una adeguata informazione; che, in particolare, il M., pure a fronte di espressa richiesta di rilascio di impegnativa per amniocentesi o per ulteriori o differenti esami volti a conoscere l’esistenza di anomalie o malformazioni del feto, aveva escluso la necessità che la gestante vi si sottoponesse, in ragione dei connessi rischi abortivi e in assenza di precedenti familiari; che la L., a sua volta, aveva ritenuto la richiesta tardiva, essendo stato, a suo dire, superato il termine utile alla praticabilità dell’esame, laddove, per contro, lo stesso poteva ancora essere effettuato. Sostennero, quindi, che B., che aveva all’epoca 39 anni, era stata dissuasa dal sottoporsi alle predette analisi, di talché‚ le era stato precluso l’esercizio del diritto alla interruzione volontaria della gravidanza, di cui agli artt. 6 e 7 della legge n. 194 del 1978.

DIRITTO:  Ciò posto, con specifico riferimento alla posizione del M., ritiene il collegio che correttamente la Corte d’appello abbia valorizzato la sua qualità di medico di base, scriminando tout court le allegate resistenze del professionista al rilascio di una impegnativa per amniocentesi, senza che si fosse prima pronunciato uno specialista. E invero, considerato che i ricorrenti neppure hanno lamentato malgoverno degli esiti della compiuta istruttoria sotto il profilo che da questa, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, sarebbe emerso il secco rifiuto del medico a una loro altrettanto precisa richiesta di prescrizione, la condotta del M., nei termini in cui é stata ricostruita dal decidente, appare ispirata a un doveroso e prudente tempismo. Rientra invero nei doveri informativi del buon sanitario allertare il paziente sui pericoli connessi all’espletamento di indagini invasive, invitandolo a consultare, prima di prendere una decisione definitiva al riguardo, l’esperto del settore. Ne deriva che la scelta decisoria adottata resiste, in definitiva, alle critiche formulate in ricorso. In realtà le argomentazioni con le quali la Corte d’appello ha motivato il suo convincimento, innanzi sinteticamente riportate (sub n. 1), sono assolutamente ineccepibili, sul piano logico e giuridico, oltre che pienamente aderenti alla piattaforma fattuale di riferimento. E’ sufficiente al riguardo osservare che l’adesione alla tesi difensiva secondo cui sarebbe stata la B. a decidere liberamente e consapevolmente di non sottoporsi ad amniocentesi poggia sull’ovvio rilievo che le annotazioni “colloquio amniocentesi” e “non la farà” non avrebbero avuto alcun senso ove la ginecologa avesse reputato tardiva la richiesta della gestante di accedere all’esame, di talché, a fronte di un appunto siffatto, che inequivocabilmente ne presuppone la persistente praticabilità, non appare sostenibile l’assunto della somministrazione di un’informazione errata sul punto. In tale contesto il ricorso deve essere integralmente rigettato).

 

Ultimo aggiornamento

28 Febbraio 2015, 08:37

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