Poca prevenzione e sottoutilizzo su cronicità, la medicina generale sta fallendo la sua mission. La relazione Ocse al G7 (da Doctor33 del 21 maggio 2019)

Data:
21 Maggio 2019

Al G7 dei ministri della salute riuniti a Parigi nel week-end è piombato il rapporto dell’Ocse sul potenziale delle cure primarie. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico sonda le sanità degli stati membri, tra cui il nostro, e si chiede come possa evolvere la medicina del territorio per ridurre le diseguaglianze, migliorare la salute (nonché tenerla in buono stato), rendere i pazienti più consapevoli e i servizi più sostenibili. Ci sono anche le risposte: la medicina generale sta fallendo la sua “mission”, prevenzione ne fa poca, in media un quarto dei pazienti cronici nei 22 stati membri non ha ricevuto ricette per controlli gli ultimi 12 mesi (l’Italia non è messa bene, a sorpresa la Scandinavia è messa peggio, Regno Unito e Iberici i migliori) l’uso inappropriato di antibiotici riguarda dal 45 al 90% dei casi da un paese all’altro, i ricoveri evitabili valgono il 6% di tutti i giorni di degenza e in media 700 milioni a paese membro (siamo tra i più popolosi e per l’Italia parliamo di miliardi). La colpa è uno sviluppo di carriera evidentemente poco attraente che ha portato i medici di famiglia a pesare dal 32% di tutti i medici nel 2000 al 29% di oggi, proprio quando si sarebbe dovuta invertire la marcia, e ad usare sempre gli stessi strumenti (e contratti). Le strade per consentire ai medici di affrontare insieme cronicità, prevenzione e sostenibilità sono: equipaggiarli di tecnologia, incentivarli sul personale di studio, fargli offrire più servizi alle comunità, fargli coinvolgere gli assistiti nelle decisioni e stratificare il rischio sull’utenza, praticando su parte di essa medicina di iniziativa. «La relazione OCSE al G7 dei ministri della salute riassume tutte le sfide che da anni lanciamo alle istituzioni per il rilancio del servizio sanitario- dice il segretario Fimmg Silvestro Scotti– a partire dall’incremento delle risorse per finanziare i team multi-professionali in cui il medico di famiglia riorganizza le attività assistenziali con l’aiuto i suo personale infermieristico e amministrativo, oggi possibile in una percentuale di casi ridicola, e l’integrazione con diverse figure di supporto per la riabilitazione e l’assistenza sociale».
Eloquente un dato Ocse di una ricerca in corso, che non include l’Italia (“spending on primary care, first estimates”): la medicina territoriale incide sempre meno del 20% sulla spesa sanitaria, si va dal top di Austria e Polonia con il 18% al minimo (10%) di Slovacchia e Svizzera, paesi dove i medici del territorio non hanno un ruolo forte nella prevenzione né nella domiciliarità. In Italia, potremmo aggiungere noi, la spesa per assistenza primaria è ancora al di sotto, al 9% ma i servizi sono in parte garantiti. E se la spesa territoriale è cresciuta dal 2005 al 2016 quasi del 3% annuo, mezzo punto in più dell’ospedaliera e più della farmaceutica territoriale, occorre ridare slancio allo studio convenzionato, dove -sempre più insieme all’infermiere – il “generalista” eroga l’80% dei servizi di base. «E’ significativo che l’OCSE non solo metta in rilievo l’importanza del pay for performance come meccanismo di remunerazione più adeguato nei sistemi sanitari in grado di misurare i risultati dei percorsi di salute -sottolinea Scotti- ma ritenga fondamentale la capillarità dell’assistenza territoriale e lo sviluppo delle reti informatiche. Tre aspetti che insieme possono essere riassunti nell’introduzione, nella prossima Convenzione, di aggregazioni funzionali, in un modello organizzativo che deve mantenersi equo, diffuso e di qualità anche a fronte della citata diminuzione del numero di medici. Le premesse a questo sono già presenti negli atti legislativi e sul tavolo delle trattative, ma rischiano di restare lettera morta in assenza di nuovi investimenti che, come da nostre proposte, devono trovare fonti di finanziamento nella riduzione dell’Iva al 4% per l’acquisto di strumenti diagnostici e nel creare, con una formazione specifica per collaboratori di studio medico, decine di migliaia di posti di lavoro qualificati per gli aventi diritto al reddito di cittadinanza, con conseguente miglioramento della qualità dell’assistenza ai cittadini e vantaggi fiscali per i medici di famiglia nella loro qualità di datori di lavoro».

Mauro Miserendino

Ultimo aggiornamento

21 Maggio 2019, 05:20

Commenti

Nessun commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Salvataggio di un cookie con i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento

Powered by Cooperativa EDP La Traccia