La mancata conservazione della cartella clinica da parte della struttura toglie parte di responsabilità ai medici (da quotidianosanita.it del 24 luglio 2018)

Data:
25 Luglio 2018

Secondo la Cassazione (sentenza 18567/2018) che ha dato ragione alla Corte d’appello la colpa dei medici si “alleggerisce” nel caso di mancata conservazione della cartella clinica dopo l’iter delle cure, ma a questi restano comunque gli addebiti di responsabilità per il decesso di una paziente.

 LA SENTENZA. 

23 LUG – Prima della consegna all’archivio centrale dell’ospedale la responsabilità sia di compilare che di conservare la cartella clinica è del medico. Al momento della consegna all’archivio centrale, la responsabilità per omessa conservazione della cartella è della struttura sanitaria.

A chiarirlo è la sentenza 18567/2018 della terza sezione civile della Cassazione.

Il fatto
I congiunti di una paziente hanno fatto ricorso per ottenere il risarcimento dei danni riportati a seguito dell’intervento operatorio di rivascolarizzazione miocardica tramite innesto di cinque bypass per risolvere una patologia di “sindrome coronarica acuta e stenosi dei vasi coronarici”.

Dopo l’intervento si sono verificati problemi di instabilità emodinamica e di tenuta delle suture, che rendevano necessario un secondo intervento per revisionare le suture.
L’emergere di una infezione da stafilococco aureo con ascessualizzazione nel cavo mediastinico, nonostante la terapia antibiotica, aveva reso necessario un terzo intervento di revisione sternale. L’infezione non si arrestava e la paziente è deceduta.

I ricorrenti hanno sostenuto che il decesso fosse stato causato dalla mancata sospensione del trattamento antiaggregante in corso, dal mancato tempestivo inizio della profilassi antibiotica per prevenire l’insorgere dell’infezione e dal ritardo con il quale era stato eseguito l’intervento chirurgico per contrastare l’infezione insorta.

Il ricorso è stato effettuato contro la struttura (casa di cura) dove i fatti si sono svolti non ritenendo di estendere il contraddittorio ai medici coinvolti.

La casa di cura invece aveva chiamato in causa il chirurgo, l’anestesista e l’assistente, contestando l’ammissibilità e utilizzabilità dell’elaborato del perito, non essendo stato egli parte del procedimento di istruzione preventiva. E contestando l’esistenza di una propria responsabilità.

Anche i medici a questo punto si costituivano affermando che le scelte tecniche in un paziente ad alto rischio spettavano al capo equipe, che la terapia antiaggregante era stata correttamente sospesa prima dell’intervento, che il secondo intervento si era reso necessario ed effettuato non appena riscontrata la presenza di sanguinamento delle suture, e che la terapia antibiotica era stata correttamente eseguita, iniziata prima dell’intervento e poi modificata in considerazione della non reattività del paziente alle cure.

La sentenza
Nella sentenza di primo grado il Tribunale ha condannato struttura e medici a risarcire i danni agli eredi. In particolare, preso atto che le parti non avevano portato prove a proprio carico non avendo prodotto la cartella clinica, il Tribunale ha ritenuto valido il solo profilo di responsabilità relativo alla mancata prevenzione e al deficitario trattamento dell’infezione, per omessa somministrazione di copertura antibiotica.

La clinica non ha impugnato la sentenza di primo grado passata quindi in giudicato nei suoi confronti. Contro la sentenza ricorrevano in appello due medici lamentando che il Tribunale non avesse disposto una consulenza tecnica d’ufficio e comunque criticando la sentenza per non aver attribuito alcuna percentuale di responsabilità all’ anestesista.

La Corte d’appello sospendeva l’efficacia esecutiva della sentenza solo per le condanne relative ai due medici ricorrenti, chiedendo una consulenza tecnica collegiale, nominando un medico legale e un cardiologo. Durante la consulenza è emerso che la clinica aveva denunciato lo smarrimento della cartella clinica.

Alla fine la Corte d’appello ripartiva diversamente le responsabilità e affermava che la causa della morte della paziente doveva ricondursi alla comparsa di una infezione nosocomiale, imputabile a carenze strutturali e organizzative della casa di cura.

Aggiungeva però che anche il comportamento dei tre sanitari non fosse del tutto esente da responsabilità, muovendo loro tre specifici addebiti:
il primo nel non aver somministrato l’antibiotico al paziente nell’immediatezza del taglio chirurgico e con tempestività nel decorso post-operatorio;
il secondo addebito era legato al re-intervento per tamponamento cardiaco, dovuto probabilmente dalla mancata sospensione in tempo utile, precedente all’operazione, della terapia antiaggregante piastrinica;
il terzo profilo di addebito era individuato nella mancata adozione della tecnica chirurgica della scheletrizzazione delle arterie mammarie.

Nelle sue conclusioni la Corte d’appello affermava che le carenze od omissioni della cartella clinica non potevano ripercuotersi a danno del paziente perché si trattava di documentazione che è obbligo del medico e della struttura sanitaria non solo compilare ma, anche e soprattutto, conservare per dimostrare la correttezza dell’ iter diagnostico, terapeutico e curativo seguito nel caso.

Per la Cassazione il momento del passaggio della responsabilità è rappresentato dalla consegna della cartella dal medico all’archivio centrale. Quindi “il principio di vicinanza della prova, fondato sull’obbligo di regolare e completa tenuta della cartella, le cui carenze od omissioni non possono andare a danno del paziente … non può operare in pregiudizio del medico per la successiva fase di conservazione”.
Anzi: gli stessi medici, in caso di smarrimento della cartella, rischiano di non poter documentare le attività che erano state regolarmente annotate e possono trovarsi quindi in una posizione simmetrica a quella del paziente.
Quindi è giusto in assenza della cartella che i medici non subiscano addebiti dovuti al fatto di non poter riscontrare l’iter seguito nell’assistenza, ma è anche giusto, come ha fatto la Corte d’Appello che le ha elencate, affermare che i medici non erano comunque esenti da responsabilità.

In questo senso la Cassazione ha dato ragione alla Corte d’Appello che ha rivisto le percentuali di responsabilità rispetto alla sentenza del Tribunale e ha anche ribadito i principi che regolano l’obbligo di conservazione della cartella:

– fino a che non sarà completato il processo di digitalizzazione, la cartella va conservata in luoghi appropriati, non soggetti ad alterazioni climatiche e non accessibili da estranei;

– l’obbligo di conservazione della cartella è illimitato nel tempo, in quanto atto ufficiale.

Ultimo aggiornamento

25 Luglio 2018, 07:44

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