Ne bastano minime quantità per provocare i sintomi: contrazioni muscolari e spasmi dolorosissimi che partono dalla testa (tipico il cosiddetto “riso sardonico” provocato dalla contrazione del muscolo massetere della mandibola) per scendere poi al tronco e agli arti, compromettendo deglutizione e respirazione.
Il batterio si dice “anaerobio” perché per la sua crescita richiede un ambiente privo di ossigeno. Prolifera, senza provocare alcun sintomo né danno, nell’intestino degli esseri umani e di animali come bovini, equini e ovini, da dove si libera nell’ambiente con le feci. I contesti rurali, dove la contaminazione del terreno con sterco di mucche, asini, cavalli, pecore o capre non solo è più facile, ma può essere favorita da processi di concimazione naturale, sono quindi a maggior rischio. Anche le strade, i terreni incolti, o quelli dei giardini e parchi di città non possono tuttavia essere considerati in alcun modo sicuri. All’aria infatti il batterio non muore, ma assume la forma di una spora molto resistente, perfino alla bollitura, che può sopravvivere in stato quiescente, nella polvere o nel terreno, molto a lungo, per mesi o anni [1,2].
Solo tornando in un ambiente privo di ossigeno il batterio può tornare alla sua forma detta “vegetativa”, in cui ricomincia a proliferare e a produrre la tossina responsabile della malattia. Il batterio può trovare queste condizioni di vita per lui ideali nei tessuti necrotici di una piaga o di un’ustione, ma anche negli strati più profondi di una pelle sana, che può raggiungere senza difficoltà tramite oggetti appuntiti o taglienti. Il giardinaggio espone particolarmente al rischio perché unisce alla presenza di terriccio l’uso di attrezzi con queste caratteristiche. Una minaccia molto subdola è rappresentata dalle rose, per cui si usa spesso concime di cavallo e con le cui spine è molto facile pungersi.
Possono introdurre le spore nei tessuti anche i tagli profondi provocati dalle lamiere nel corso di un incidente stradale o i morsi di animale, come nel caso tipico di un cane.
Nella storia di molti casi di tetano si riferiscono però anche ferite di altro tipo, spesso molto più banali, descritte come escoriazioni, che talvolta si sono solo sporcate di terra. Nel 7% dei casi il paziente, al manifestarsi dei sintomi, che possono comparire da 1 a 2 settimane dopo l’infezione (ma sono descritti anche casi, generalmente più gravi, con incubazione più breve), non ricorda nemmeno più di essersi fatto male, a riprova del fatto che a rappresentare una minaccia non sono soltanto le lesioni più gravi.
Lascia un commento