I voti agli atenei «dimenticano» merito e doveri.

Data:
15 Agosto 2013

L’Anvur ha reso pubblica la valutazione della ricerca delle università e degli enti di ricerca.
Non si è ricordato che la produttività media italiana in relazione ai fondi disponibili è superiore alla media europea; invece, inevitabilmente, l’attenzione si è accentrata su chi è prima e su chi è dopo, orgoglio tra i primi e corsa alle scusanti degli ultimi.
Quello che stride è che vi sono università-scuole di nicchia ben valutate dall’Anvur e nemmeno considerate nei ranking internazionali: salvo l’eccellente Padova, queste scuole non sono tra le prime 200 nel World University Ranking, dove Roma-Sapienza è al 62° posto, unica italiana tra le top 100, mentre è in posizione intermedia nella classifica Anvur.
Certamente nelle scelte e negli algoritmi dell’Anvur ci sono forzature non proprio corrette.
Si valuta giustamente la qualità di professori e ricercatori reclutati, si corregge però il dato per il numero degli assunti anche in violazione delle norme sul pareggio di bilancio (premiate le università andate in profondo rosso con l’assurdo che il ministero stanzia anche fondi per ripianare il loro deficit).
Altro problema valutativo riguarda le facoltà mediche, con la produttività dei dipartimenti clinici che risente delle risorse regionali, un disastro nel Sud (ma l’Anvur non lo considera).
Ancora si valuta con lo stesso metro la ricerca di università con decine di migliaia di studenti e professori oberati di obblighi didattici, e scuole superiori che sono scuole di dottorato, cioè con didattica solo seminariale e tempo dedicato solo alla ricerca.
Le Università derivate da sdoppiamenti (a Milano, Roma e Napoli) hanno selezionato i docenti trasferiti da quelle d’origine, nelle quali sono rimasti gli inattivi cronici.
Ma ora ciò che serve è capire perché un dipartimento o un’università sia in posizione infima e correre ai ripari, se ci sono.
Alessandro Schiesaro, consigliere di più ministri, scrive correttamente sul Sole 24 ore del 24 luglio che «localmente spetta ora alle singole istituzioni di tradurre i risultati in indicazioni concrete per impostare le strategie del futuro».
E qui non si può che registrare l’inadeguatezza delle norme.
Se un’università introduce correttivi che premino il merito c’è in agguato la sospensiva del Tar, perché la legge non autorizza a ciò.
Quali correttivi?
Per esempio: escludere dall’elettorato, cioè dall’influire sulla scelta del rettore o del direttore di dipartimento, chi sia inattivo; togliere il potere di chiamata dei docenti ai dipartimenti che siano in fondo alla graduatoria (hanno fatto cattivo uso del loro potere di giudizio); penalizzare in termini sostanziali (per esempio, con un taglio del 30-50% dello stipendio) i docenti parzialmente o totalmente inattivi; poter licenziare o sospendere dal servizio i docenti inattivi; trasformare in professori a contratto, ove necessari per la didattica, i professori-ricercatori dediti alla professione (avvocati, medici, commercialisti eccetera).
Sui primi due punti Roma-Sapienza ha introdotto nello Statuto norme specifiche (chi non ha prodotto, non vota), ritenute "anti-democratiche" e immediatamente sospese dal Tar (come se il merito sia determinabile a maggioranza indipendentemente…dal merito).
Sugli ultimi tre punti manca proprio la norma.
Le penalizzazioni finanziarie del Miur alle università in bassa classifica?
Sono così lontane dal colpire chi ha causato il danno (lo stipendio è intoccabile) da avere l’unico effetto di penalizzare ulteriormente quelle università, che non avranno nemmeno le risorse per chiamare qualche professore che rigeneri il sistema.
La legge 240/2010 (legge Gelmini) ha il merito importante di aver attivato la valutazione e il demerito di aver dettato norme organizzative uguali per università del tutto diverse per dimensione e tipologia, di aver eliminato il periodo di prova dei docenti neo-assunti, di non aver previsto la possibilità d’intervenire in modo efficace sugli inattivi (c’è un mini-premio una tantum per i migliori, ma non vi sono penalizzazioni per i peggiori o il licenziamento per scarso rendimento).
Resta allora una domanda sostanziale: com’è possibile raddrizzare la baracca o scalare le graduatorie internazionali se le norme tutelano i diritti (o meglio gli pseudo-diritti degli inattivi: diritto di votare per rettore-direttore di dipartimento, illicenziabilità, mantenimento dello stipendio) anche quando vi è il riscontro obiettivo di non aver adempiuto ai doveri?
Tra tante norme inutili e burocraticamente oppressive manca l’unica veramente utile, quella che consente di applicare la massima che i diritti vengono dopo i doveri.


Ultimo aggiornamento

15 Agosto 2013, 08:32

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