Gestione ricette dei pazienti cronici, il ruolo del collaboratore di studio secondo le norme vigenti (da Doctor33 del 21 novembre 2019)

Data:
21 Novembre 2019

Il collaboratore di studio può gestire le ripetizioni delle ricette ai pazienti cronici? La risposta è complessivamente negativa, con le norme attuali. Dal 2012 dell'”assistente dello studio del medico di famiglia” sono abbozzati i compiti contrattuali, ma tuttora non è profilo contemplato dal legislatore. Inoltre, a differenza di un professionista sanitario come l’infermiere, o dello sportellista Asl, non esistono norme o codici di condotta che lo vincolino al segreto sui dati personali che tratta, al di là del rapporto di dipendenza da un medico di medicina generale soggetto al codice deontologico, alla giustizia penale e al General Data Protection Regulation in tema di privacy.

E della lettera di incarico che il medico gli rilascia (le lettere si moltiplicano in caso di medicina associata). In che misura dunque può accedere ai dati sensibili dei pazienti? E come deve avvenire il corretto rilascio della ricetta dematerializzata? A porre il problema è Florindo Lalla specialista in Medicina legale ed esponente del Tribunale dei Diritti e Doveri del Medico in Abruzzo, in uno “statement” dove in premessa ricorda che per accedere ai dati del paziente ogni assistente deve avere una sua password diversa da quella del medico. Tuttavia, ove il medico sia certo che l’incaricato protegga il dato, nessuna norma impedisce di consentire al collaboratore di vedere per intero la scheda assistito: si tratta tuttavia di una precauzione ulteriore e benvenuta. Infatti se il medico autorizza il collaboratore ad accedere solo ai dati personali e non a quelli di salute dei pazienti non si pongono problemi relativi alla disciplina del segreto professionale; se invece al collaboratore permette l’accesso anche ai dati sensibili possono sorgere inconvenienti la cui responsabilità grava tutta sul medico. «Recenti fatti di cronaca sulla conduzione di studi di MG con collaboratore cui il titolare permetteva di svolgere qualsiasi attività hanno evidenziato situazioni dove l’Autorità Giudiziaria ha ravvisato gravi reati: falso ideologico, truffa, esercizio abusivo della professione medica», ricorda Lalla. In particolare, «nella tutela della privacy e del segreto rientrano redazione, consegna, trasmissione della ricetta dematerializzata che, al pari della cartacea, ha valore giuridico di certificato (ove individua il soggetto ed i suoi doveri/diritti di partecipazione/esenzione alla spesa) e di autorizzazione amministrativa (dove eÌ indicato il farmaco). Ne consegue che la sua compilazione/redazione/stesura/stampa è un atto medico non delegabile». Per Lalla, anche se qualche Regione ha legiferato sulla ricetta sorvolando sulla qualifica di atto medico in contrasto con l’unicità prescrittiva riconosciuta al medico da leggi e sentenze, «la ricetta è atto medico, che segue ad esame obiettivo ed a diagnosi, non delegabile a terzi anche se medici. La firma è a garanzia che quei due processi sono stati effettuati dalla stessa persona».

Come per la ricetta su carta, nella forma dematerializzata chi preme il bottone di stampa dev’essere il medico. Quindi, «se la ricetta eÌ atto medico conseguente ad un incontro medico-assistito, oltre che contra legem non ha alcun senso farla “predisporre” dal collaboratore che poi la presenta al medico per la vidimazione, ancor meno per chi la intende “atto non clinico” nella ripetizione di farmaci per patologia cronica ipotizzando la non necessita del controllo medico. Sul punto la Giurisprudenza si è espressa in modo chiaro: “… Deve essere dunque il medico – e solo il medico -, acquisiti tutti gli elementi necessari per una esauriente valutazione clinica del caso, a decidere se prescrivere o meno il farmaco ovvero, se del caso, mutare una precedente prescrizione farmacologica” … “…Essendo irrilevante la circostanza che i pazienti fossero affetti da patologie croniche, posto che anche per essi lo schema seguito dal legislatore impone al medico, dopo la diagnosi iniziale e la prima prescrizione farmacologica, di attuare controlli intermedi predefiniti, prima di emettere le prescrizioni ripetute”. (Cassazione penale, sez. VI, sentenza 31/03/2011, n° 13315). Il promemoria cartaceo va consegnato nelle mani dell’interessato che ha avuto un contatto diretto con il medico. E’ possibile la consegna a terzi, dietro delega ed in busta chiusa, direttamente o per il tramite del collaboratore di studio, solo se il contatto con il medico v’è stato e non si è avuta possibilità di stampa immediata. Ha spiegato il Garante della privacy nella relazione annuale al Senato della Repubblica del 28 giugno 2016: “L’unica modalità attualmente legittima affinché il paziente usufruisca del promemoria e possa ritirare i farmaci prescritti con ricetta DEM è la consegna da parte del medico prescrittore del promemoria cartaceo al paziente e la consegna da parte del paziente del promemoria cartaceo alla farmacia”. Quanto alla trasmissione della ricetta online all’assistito, se il medico lo incontra non serve, c’è il promemoria; se non lo incontra mail, whatsapp etc non garantiscono adeguata protezione del dato. “Il Ministero dell’Economia non ha ancora individuato altre modalità di trasmissione per deficienza di dette vie a proteggere i dati sanitari”.

Mauro Miserendino

Ultimo aggiornamento

21 Novembre 2019, 08:04

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