Erbe medicinali. Crescono i consumi ma anche le allergie. A rischio soprattutto donne e anziani. Non sempre naturale è sinonimo di benefico.

Data:
12 Ottobre 2013

Fra le erbe medicinali in commercio menzionate nella relazione del Prof. Calapai, presentata nel corso dell’evento SIAIC ecco la Cimicifuga Racemosa, utilizzata per i disturbi della menopausa, ma alla quale è stato imputato di poter provocare gravi danni al fegato, astenia e di innalzare gli enzimi muscolari – ammonisce Calapai –
Poi l’Hypericum Perforatum, (Erba di San giovanni), che viene usata contro depressione ma è anche causa frequente di interazioni con i farmaci e, se assunta con farmaci antidepressivi può causare una sindrome da eccesso di serotonina, una condizione che può anche causare la morte.
Passando per il Citrus Aurantium, il comune arancio amaro, che ha mostrato un rischio di tossicità cardiaca sia negli animali da laboratorio che nell’uomo.
Per finire con il Piper Methysticum (noto anche come Kava), che ha effetti afrodisiaci, inebrianti, utilizzato per i disturbi dell’ansia e gli attacchi di panico ma che è stato ritirato dal commercio per i gravissimi danni al fegato.
E un elenco lungo che include molte altre specie.
Per questa ragione occorre uno sforzo maggiore da parte della stessa classe medica che attraverso l’anamnesi del paziente deve pazientemente raccogliere informazioni sulle sue abitudini chiedendo informazioni su eventuali prodotti per la salute assunti autonomamente.
“I medicamenti siano farmaci o erbe medicinali sono veicoli di idee e modi di vivere”, si asseriva un tempo.
E oggi che è cambiato il concetto di salute, a cui si è accostato e talora sostituito il concetto di benessere, assistiamo ad un proliferare di estratti, tinture, olii essenziali, pozioni in commercio a base di piante medicinali che, liberamente in vendita sono registrate come “integratori alimentari”.
Sono integratori nutraceutici o farmaci veri e propri?
E quando un prodotto a base vegetale diventa un medicinale o un alimento?
Gli integratori alimentari contengono sostanze che secondo la normativa vigente sono deputate al massimo al mantenimento dello stato fisiologico ma NON A CURARE una malattia.
Come accade per molte erbe medicinali, che alimenti non sono ma sono venduti come tali, costringe il nostro organismo e in particolare il nostro fegato ad un sovraccarico di lavoro nei confronti di sostanze che vanno metabolizzate per poter essere poi eliminate.
Insomma, il nostro fegato assume qualcosa che alimento certo non è, anche se viene fatto passare per tale.
In Italia, così come in altri paesi europei, nonostante esiste da pochi anni una legislazione che permette di registrare i prodotti a base di erbe medicinali come medicinali vegetali sottoponendoli ad una vera e propria valutazione come per i farmaci, questi prodotti continuano ad essere commercializzati come integratori alimentari.
Tale situazione priva il cittadino di ulteriori garanzie di efficacia e di sicurezza che si otterrebbero da prodotti medicinali che sarebbero valutati e controllati così come accade con i farmaci di sintesi.

Non sempre naturale è sinonimo di benefico. Se il consumo di erbe medicinali nel nostro paese è in grande espansione, lo è anche il rischio di reazioni allergiche indesiderate, a volte misconosciute.
Non è infatti raro assistere alla comparsa di reazioni di varia natura che non sono immediatamente messe i relazione con quella che è la loro causa reale e cioè l’uso di prodotti che contengono erbe medicinali.
L’allarme è stato lanciato dagli allergologi della Società italiana di Allergologia e Immunologia Clinica, a conclusione della quarta edizione della SIAIC Interactive School “SIS” che si è svolta a Cagliari.
“Si registra anche nel nostro paese, insieme al largo consumo, il fatto che il consumatore abbia una insufficiente percezione dei rischi associati all’uso di questi prodotti”, ha spiegato Sebastiano Gangemi allergologo e immunologo clinico presso l’Università di Messina e consigliere della Siaic.
“Egli, anche a causa del passaparola favorito anche dalla scarsa qualità delle informazioni a disposizione sul Web, nutre una fiducia quasi assoluta in tali erbe.
Inoltre vige la consuetudine di autoprescriversi tali ritrovati, senza alcuna supervisione del medico.
Ma soprattutto, per tali prodotti non sono quasi mai garantiti lo stesso controllo degli standard di qualità e sicurezza richiesti ad esempio per i farmaci.
In particolare quando si acquistano in rete da industrie misconosciute, ai rischi rappresentati dalle potenziali interazioni farmacologiche si aggiungono la possibilità di acquistare prodotti contaminati da eccessiva presenza di metalli pesanti o prodotti adulterati nei quali sono stati aggiunti veri e propri farmaci per renderli più efficaci”.
Con questo appello gli specialisti intendono porre l’accento sui possibili rischi collegati ad un uso non improprio delle erbe medicinali e dalle loro interazioni con i farmaci.
Un rischio che statisticamente è maggiore per le donne e per le persone anziane: “I dati ottenuti dagli studi di Medicina di Genere indicano che le donne utilizzano più degli uomini le medicine a base di erbe e prodotti per la cura di sé”, ha detto Vincenzo Patella, Allergologo e Immunologo Clinico alla ASL di Salerno e Docente Scuola di Specializzazione Università di Napoli Federico II.
“Anche l’età elevata e la bassa percezione del benessere aumenta in modo significativo il consumo di prodotti a base di erbe e quindi un maggior rischio di uso inappropriato.
I soggetti con molti sintomi (sei o più) sono più esposti ad un uso sconsiderato di questi farmaci e sono più esposti a reazioni gravi, spesso scatenate dall’interazione con farmaci convenzionali come ad esempio le medicine utilizzate per la cura delle malattie cardiovascolari o addirittura contro i tumori.
Visto il rischio, spiegano gli esperti, occorre promuovere una maggiore comunicazione sui prodotti assunti al di là della prescrizione medica.
Fondamentale è coinvolgere i cittadini nella segnalazione di qualsiasi disturbo collegato all’uso di prodotti per la salute per far si che, così come avviene con la farmacovigilanza, anche la fitovigilanza contribuisca a definire meglio quali sono i rischi e i benefici per il paziente.
Tra i fattori che alimentano il permanere delle erbe medicinali in questo “limbo” alimentare vi sono certamente quelli economici che sicuramente penalizzano le industrie più piccole poiché la sola domanda per la registrazione di un prodotto ha un costo di circa 23 mila euro (era ancora più alta fino a pochissimo tempo fa).
Tuttavia, oltre ai fattori economici esiste anche una forma di riluttanza a trasferire un prodotto dal mercato degli integratori alimentari al quale si accede con molta più facilità a quello più rigido del mercato dei farmaci.
Per un integratore basta una notifica al ministero, con una domanda che costa pochissime centinaia di euro, nella quale ci si deve limitare solo a non elencare tra gli ingredienti della composizione sostanze notoriamente tossiche.
La pubblicità ingannevole, i messaggi fuorvianti e le formule dei creativi fanno il resto provocando poi ingenti danni ai singoli e alle comunità, e a noi specialisti chiamati a risolvere situazioni cliniche difficili.


Ultimo aggiornamento

12 Ottobre 2013, 12:19

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