Covid-19, Mmg in ansia. In tutta Italia infetti o in quarantena. Dalla Lombardia alle Marche il punto della situazione (da Doctor33 del 5 marzo 2020)

Data:
7 Marzo 2020

Più di settanta medici di medicina generale tra contagiati e posti in quarantena dal coronavirus specie al Nord. Dispositivi di protezione insufficienti. Il Sindacato medici italiani con la segretaria nazionale Pina Onotri valuta la diffida agli assessori regionali e ai direttori generali Asl in caso di eventi gravi per la salute dei colleghi riportabili al coronavirus e chiede al governo italiano di imitare la Francia e requisire le fabbriche che producono dispositivi di protezione personali. Dal Nord al Sud intanto rimbalza la frase: «Ci sentiamo al fronte con le scarpe di cartone».

Marche – L’allarme di ieri viene dalle Marche dove ora ci sono 17 medici di famiglia in quarantena, 25 mila pazienti senza medico; due medici di assistenza primaria e uno di continuità assistenziale hanno contratto il virus, uno pneumologo è in rianimazione. «C’erano una volta due criteri per individuare il paziente Covid-19, i sintomi e la provenienza da aree sospette. Questo secondo criterio non conta più. Purtroppo, lavoriamo su una linea guida non aggiornata», dice Dario Bartolucci, segretario Fimmg Pesaro Urbino. «Se l’assistito ha 38 di temperatura, tosse, altri sintomi caratteristici del Covid-19 e non viene da zone a rischio, la flow-chart che applichiamo di fatto esclude il virus se non si viene dalla Cina, dalle zone rosse o da ospedali con contagiati. Il paziente sintomatico in questi casi non si può indirizzare in ospedale o al 112-118, ci spetta farlo venire in studio o recarci da lui ma non abbiamo DPI idonei, mi sono rimaste due mascherine».
Fabrizio Valeri presidente Snami Pu conferma: «Non sappiamo mai chi abbiamo di fronte nella domiciliare, se la badante del vecchio allettato è stata nel Milanese, se c’è un sintomo sospetto possiamo dichiararlo all’Asl ed elemosinare i kit». «Di certo – riprende Bartolucci -i colleghi che hanno notizia di un paziente contagiato non possono tenere aperto lo studio, rischierebbero di contagiare a loro volta. Si mettono in quarantena ma spesso la Regione non lo sa, il conto glielo ho aggiornato io. E ci sono colleghi a casa sintomatici cui andrebbe fatto il tampone».

Lombardia – Il criterio dei pregressi contatti con Cina o zona rossa non si usa più nelle regioni dove il contagio ha esordito prima. In Lombardia, al medico contattato dal suo assistito con sintomi “borderline” è data la direttiva di attendere e far attendere gli sviluppi della patologia. «in queste settimane l’attività in studio sia cambiata, chi riceveva solo su appuntamento a maggior ragione continua a farlo, mentre il libero accesso al momento è sospeso da un’ordinanza, il paziente deve sempre telefonare al medico ed effettuiamo un triage. Se i sintomi di infezione delle alte vie respiratorie sono banali in genere diciamo di attendere gli sviluppi. L’indirizzo generale, che limita gli accessi a casa solo se indispensabili, è per tutti ridurre al minimo i contatti. Infatti, possiamo essere anche noi medici potenziali portatori del virus. Non lo sappiamo. Diventiamo “contatti stretti” quando l’Asl ci trasmette l’informazione che un assistito da noi visto negli ultimi 14 giorni è positivo al coronavirus. Ma i tamponi non sono abbastanza e sono fatti solo ai medici dopo che hanno manifestato i sintomi. Quando il paziente -borderline nei sintomi ma non “caso sospetto” – sembra proprio aver bisogno di noi lo invitiamo in studio in modalità protetta o ci rechiamo a casa sua, con la mascherina chirurgica fornita dalla regione che però non tutela il sanitario dal contagio. Quelle con filtrante che ci proteggono non ci sono, io non ne ho più, c’è il rischio di dover usare la stessa più giorni». Carenza di dispositivi medici e tampone effettuato solo ai medici sintomatici sono due punti dolenti confermati dalla Segretaria Fimmg lombarda Paola Pedrini, che sottolinea altri due elementi critici: le Ats non trovano sostituti in grado di supplire al “riposo forzato” dei medici in quarantena (che in realtà continuano ad inviare prescrizioni per gli altri pazienti e a rispondere al telefono) e i tamponi sono effettuati da «svariate autorità locali senza che sia soddisfatto nessuno dei criteri richiesti per l’esecuzione e previsti dalle disposizioni delle autorità». Tamborini sottolinea anche come in queste settimane negli studi l’attività si sia ridotta, «gli assistiti ci stanno in genere dando una grossa mano a tenere le sale d’attesa “mezze vuote” e nel rispetto della distanza di un metro e passa, ma non sempre è possibile».

Emilia Romagna – Di là del Po i problemi sono identici. Si è appena sbloccata un’impasse sui DPI e stanno arrivando dalle aziende sanitarie, come spiega il segretario Fimmg Fabio Vespa. Il quale aveva sottolineato ai media come l’assenza di kit metta a rischio non solo il medico ma anche collaboratori di studio ed infermieri, verso i quali i mmg hanno responsabilità etiche e penali. «Ho inteso dire che non ci siamo solo noi medici di famiglia e che abbiamo il dovere di tutelare i nostri lavoratori e tenerne in massimo conto l’incolumità, anche rispetto al rischio di infezioni», spiega Vespa. «Il tema della carenza di mascherine non può non coinvolgere il nostro collaboratore. In studio abbiamo contatti con decine di pazienti al giorno, ognuno ha la sua situazione, qualcuno è contagioso. Nel mio caso la segretaria è protetta da un vetro chiuso un po’ come alle Poste e vede chi è in sala d’attesa, ma in altri casi l’operatore non è così protetto. Il medico ha responsabilità di datore di lavoro, tant’è vero che è tenuto alla compilazione e conservazione di un Documento di valutazione del rischio individuale del personale».

Mauro Miserendino

Ultimo aggiornamento

7 Marzo 2020, 13:41

Commenti

Nessun commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Salvataggio di un cookie con i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento

Powered by Cooperativa EDP La Traccia