Coronavirus. “Da Protezione Civile mascherine FFP2 non idonee ad uso sanitario. Episodio gravissimo. Potevano mettere a rischio la vita di migliaia di medici”. E sui tamponi: “Bisogna farne di più”. Intervista a Anelli (Fnomceo)

Data:
1 Aprile 2020

da quotidianosanita.it del 01 aprile 2020

Solo ieri il Commissario Arcuri aveva annunciato che una partita di mascherine FFP2 era stata inviata direttamente alla Fnomceo per essere distribuita agli Ordini ma sempre ieri si scopre che le mascherine consegnate non sono idonee ad uso sanitario. “Nessuno ci ha ancora fornito una spiegazione di quanto accaduto. È molto grave. Avremmo potuto mettere a rischio le vite di migliaia di medici”, commenta Anelli che in questa intervista lancia anche una serie di proposte sugli screening e sulla fornitura di antivirali e idrossiclorochina alle farmacie territoriali

01 APR – Il Commissario straordinario per l’approvvigionamento di materiale sanitario, Domenico Arcuri, annunciava ieri l’invio alla Fnomceo di un consistente quantitativo di mascherine Ffp2 equivalenti (si parla di circa 600mila unità). Mascherine rivelatesi però non idonee all’uso sanitario come comunicato alla Fnomceo dallo stesso Arcuri (vedi lettera), sollecitato in proposito dalla Fnomceo, allarmata da segnalazioni da parte dei medici su una conformazione sospetta delle mascherine. “Un episodio gravissimo che non dovrà ripetersi. Avremmo potuto mettere a rischio la vita di migliaia di medici”, commenta il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, in questa intervista a Quotidiano Sanità, dove racconta quanto accaduto e fa il punto sull’attuale situazione epidemiologica e sulle criticità organizzative riscontrate sul campo in queste settimane.

Presidente Anelli ci può aiutare a capire cosa è successo con questa fornitura di mascherine Ffp2 risultate poi non idonee all’utilizzo sanitario?

Iniziamo a dire che da tempo gli operatori sanitari si trovano in una grave situazione di assenza di dispositivi di protezione individuale idonei a proteggersi dal rischio di contagio. Alla luce di questo, si è deciso di usare il canale degli Ordini medici per far arrivare una dotazione straordinaria di mascherine Ffp2. Attraverso gli ordini capoluogo abbiamo così organizzato la distribuzione di questo carico. Si tratta di colli da 1000 mascherine che riportano la dicitura mascherine Ffp2 equivalenti. Ad un certo punto, però, sono iniziate ad arrivarmi foto che mostravano come queste avessero una connotazione oggettivamente ‘atipica’ rispetto alle solite Ffp2. A quel punto ci siamo interrogati sulla reale capacità filtrante del loro tessuto.

E quindi?
E quindi, dopo un’interlocuzione con la Protezione Civile ci hanno confermato che queste non erano destinate ad un uso sanitario. Per conferma ho sentito anche il commissario Arcuri e a quel punto abbiamo deciso di bloccare immediatamente la consegna.

Scusi ma quale giustificazione le ha fornito la Protezione Civile per questo disguido?
Ho chiesto formalmente spiegazioni. Al momento non ne abbiamo. Nessuno ci ha dato una spiegazione sull’accaduto. Questo è molto grave.

Avreste potuto mettere involontariamente a rischio la salute di migliaia di medici.
Sì, e mi creda sto malissimo per questa cosa. Se non fosse stato per il nostro scrupolo, se non ce ne fossimo accorti noi per tempo avremmo rischiato di mandare migliaia di medici a visitare pazienti positivi a Covid-19 con strumenti assolutamente non idonei per difendersi dal contagio. Questo episodio è di una gravità inaudita.

Nella lettera da lei inviata agli Ordini dei capoluogi di regione sembra che la fornitura inviata dalla Protezione Civile non sia stata neanche controllata dalla stessa istituzione prima della spedizione.
Ripeto, non possono fornirci dispositivi di protezione individuale senza prima effettuare controlli, è gravissimo. La situazione poteva sfuggire di mano. Solo grazie al personale che collabora con noi siamo riusciti ad evitare ai medici un contagio quasi certo. Ma questa situazione non deve mai più ripetersi. Per intenderci è come se l’Italia mandasse al fronte soldati dotandoli di giubbotti di gommapiuma invece che antiproiettile.

Restando sul tema mascherine, di recente l’Iss ha aggiornato le indicazioni per il personale sanitario, aprendo alla necessità anche di Ffp2. Che ne pensa?
Su questo tema c’è stata lunga interlocuzione con l’Istituto superiore di sanità. Abbiamo ricordato loro in maniera molto forte come attualmente, in Italia, non sia affatto garantito un livello di protezione adeguato per i medici. Ogni ragionamento deve partire da questo dato di fatto. Tra il personale sanitario contiamo già più di 8000 infetti. Abbiamo oltre 70 medici morti. Insomma, in questa situazione non possiamo sofisticare sul fatto che l’Oms ritiene che le mascherine Ffp2 si possano usare in determinate condizioni piuttosto che in altre. L’Oms parla a tutto il mondo. È evidente che deve dunque tener conto anche delle esigenze di paesi più poveri o paesi magari in guerra e con difficoltà di approviggionamento. Ma nel 2020 in Italia, in uno dei Paesi del G7, non è accettabile dire che non sia possibile fornire ai medici il massimo della garanzia.

Eppure, ci sono difficoltà ad avere anche semplici mascherine chirurgiche…
La priorità dello Stato dovrebbe essere quella di tutelare i suoi medici e tutto il personale sanitario. Abbiamo chiesto all’Iss di rivedere la nota tenendo conto della situazione contingente. Oggi, parlando a nome di 460mila medici, non posso che affermare che i camici bianchi hanno tutto il diritto di essere tutelati al massimo possibile. E questo dovrebbe essere lo Stato ad affermarlo, non solo la Fnomceo.

Nei giorni scorsi anche il segretario Fimmg Scotti ha lanciato un allarme sulla situazione dei medici di medicina generale. Li definiva “inermi” di fronte a questa epidemia. Concorda?
I medici di famiglia stanno pagando un prezzo altissimo. Nel denunciare l’inefficienza dell’attuale sistema territoriale di gestione dell’emergenza hanno tutte le ragioni del mondo. Dovremmo prima o poi chiederci il perché di tutte queste morti in Italia rispetto ad altri Paesi. Capire cosa ha funzionato e cosa no. Quale ruolo avrebbe dovuto avere la medicina del territorio. Abbiamo pensato che i malati di Covid-19 si potessero curare solo con l’aumentando numero di ventilatori.

E così l’anello debole di questa organizzazione è stata proprio la gestione del territorio…
Penso di sì. L’organizzazione dei medici di medicina generale si è modificata nettamente per far fronte, anche in questo caso, alla grave assenza di dispositivi di protezione individuale. Si sono così attivati con una disponibilità H12, 7 giorni su 7, videochiamate per i consulti medici e così via. Insieme al Ministero della Salute abbiamo poi deciso di istituire le Unità speciali di continuità assistenziale, perché ci siamo resi conto che l’assenza di mascherine avrebbe comportato una difficoltà nel seguire di persona i malati. Rimane poi la questione dei farmaci e degli strumenti diagnostici a domicilio.

Che si può fare in questo senso? Aspettare che i pazienti si aggravino ospedalizzando così l’emergenza, alla luce di quanto già visto al Nord, non sarebbe pericoloso per le regioni meridionali?
Penso proprio di sì. Intanto Aifa è intervenuta con grande efficacia aprendo all’utilizzo antivirali e idrossiclorochina a livello domiciliare. Questo porta armi concrete in mano ai medici di famiglia. Al momento siamo però persi dietro burocrazia.

Cosa intende?
Chi mette questi mezzi a disposizione dei medici di famiglia, le farmacie ospedaliere? Avevamo chiesto ad Aifa una riflessione su questo tema in modo da semplificare le procedure rendendo magari disponibili queste molecole anche nelle farmacie convenzionate territoriali. C’è poi un’altra questione di carattere prettamente scientifico riguardante l’utilizzo di questi farmaci. In questi giorni società importanti come la Simit hanno elaborato linee guida molto interessanti. Insomma c’è un grande fermento in ricerca osservazione, che è uno dei motori più importanti della medicina.

Al momento qual è la terapia più utilizzata a domicilio?
Ad oggi la terapia a domicilio più usata è l’utilizzo di idrossiclorochina insieme alla zitromicina. C’è poi la questione riguardante i saturimetri.

Ossia?
Sarebbe molto importante fornire i pazienti a casa di saturimetri. Abbiamo proposto, per far questo, di utilizzare il fondo da 235 milioni, approvato con l’ultima manovra, per dotare di apparecchiature sanitarie i medici di medicina generale. Con quelle risorse si potrebbero acquistare saturimetri. In questo modo, se il paziente rimane a casa, io posso seguirlo in maniera più semplice. L’utilizzo di questo strumento non è affatto complicato.

C’è poi il problema tamponi. Oggi molte persone isolate in casa non riescono ad ottenerlo nonostante spesso abbiano una sintomatologia compatibile con quella Covid-19. Che fare?
Noi abbiamo auspicato di trovare soluzioni diverse, ad esempio ricorrendo a test rapidi. Purtroppo, almeno per il momento questa soluzione non è ancora praticabile. C’è oggettivamente un problema di sottostima dei pazienti positivi. I tamponi non sono illimitati, hanno bisogno di tempo, comportano un’organizzazione complessa oltre ad un’ingente impegno di personale e laboratori. Io credo che in questo senso si possa anche andare verso una ‘liberalizzazione’ dei laboratori.

Cosa intende con ‘liberalizzazione’ dei laboratori?
Penso che il cittadino abbia il diritto di conoscere la propria situazione di salute. Tutti i laboratori certiticati dovrebbero poterli fare, ovviamente con l’obbligo poi di comunicare i dati.

Insomma, se ne dovrebbero poter fare di più?
L’obiettivo deve essere quello di aumentare il numero di tamponi. Il loro utilizzo non riesce ancora a renderci a pieno l’idea della reale diffusione della malattia nel Paese. C’è una sottostima di quello che avviene. Superata prima fase con sovrapposizione alla stagione influenzale, oggi sappiamo che se una persona presenta febbre con sintomi respiratori nel 90% dei casi è affetto da Covid.19. Una delle strategie per impedirela  diffusione è quella di obbligare subito all’isolamento chi presenta questi sintomi. Prima ancora del risultato dei tamponi visto che spesso passano giorni o settimane prima che vengano effettuati e siano pronti i risultati.

A chi spetterebbe questa decisione e chi dovrebbe gestire questo obbligo domiciliare?
Potrebbero farlo i medici di famiglia inseieme ai sindaci. Il ruolo dei medici di medicina generale potrebbe essere così rivalutato anche in questo senso. Sarebbe un modo efficacie per ridurre la diffusione del virus. L’obbligo dovrebbe estendersi non solo al soggetto malato, ma anche a tutti i suoi contatti all’interno dello stesso domicilio. A quel punto spetterebbe poi ai sindaci il dovere di assicurare un’assistenza di carattere sociale per queste famiglie. Sarebbe un passo in avanti rispetto all’autoisolamento su base fiduciaria.

Come valuta l’attuale situazione epidemiologica, è preso per parlare di ripartenza del Paese?
Sì, direi che è ancora troppo presto. I dati del nord italia sembrano essere favorevoli, non solo per carattere epidemiologico ma anche dalle notizie che ci arrivano dai colleghi. Ma ora sarebbe davvero prematuro esprimere giudizi, non possiamo ancora dire di essere in una fase discendente. Penso sia meglio essere ancora molto prudenti sulle misure restrittive. Sarebbe incauto farle venire meno ora. Teniamo poi conto che, dopo un primo esodo dal Nord verso il Sud, con la riapertura delle attività lavorativa in migliaia tornerebbero a spostarsi, con il rischio di una nuova ondata di contagi.

Giovanni Rodriquez

 

Ultimo aggiornamento

8 Novembre 2020, 19:33

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