CHE MINERALI CI SONO NELL’ACQUA MINERALE ? Una strana eccezione normativa esonera l’acqua minerale dal dichiarare in etichetta la presenza di eventuali componenti indesiderabili

Data:
27 Marzo 2011

Un giorno si scoprì che nel Vercellese l’acqua di rubinetto aveva un tenore di manganese di 0,12 milligrammi per litro.
Non si sa bene a che cosa serve il manganese per la salute, sembra che favorisca l’assimilazione di proteine e carboidrati, ma probabilmente attiva anche qualche altro enzima che nel corpo umano fa qualche cosa di utile.
Negli animali, è stato dimostrato sperimentalmente che una carenza di manganese diminuisce la capacità riproduttiva, provoca ritardi nella crescita, anomalie nella formazione delle ossa e accumulo di grassi nel fegato e nei reni.
Un eccesso di manganese nell’alimentazione, invece, sembra che non dia problemi e nessun segno di tossicità è stato osservato in persone che consumavano, con i cibi, fino a 9 milligrammi al giorno di manganese.
In mancanza di dati certi, la Società italiana di nutrizione umana ha raccomandato un livello di assunzione di manganese non inferiore a 1 milligrammo e non superiore a 10 milligrammi al giorno, cioè da 8 a 83 volte la dose ritrovata in un litro di acqua potabile del Vercellese.
La scoperta, però, nonostante queste notizie tranquillizzanti, aveva gettato nel panico i responsabili dell’acquedotto.
Il DPR n. 236/1988 ha previsto nell’acqua potabile un limite massimo di manganese di 0,05 milligrammi/litro, superando il quale, anche per colpa di madre natura, c’era il rischio di andare in galera per 3 anni (in seguito la sanzione è stata mitigata).
Che fare?
Non potendo lasciare senz’acqua i vercellesi, non restava che pompare ossigeno nell’acqua per catturare gli ioni di manganese, ma l’ossigeno richiama anche a frotte i microbi, per cui dopo l’ossidazione si doveva aggiungere la varechina, che libera cloro e blocca i microbi.
Così l’acqua che usciva dai rubinetti aveva un sapore cattivo e tutta l’operazione poteva sembrare da mentecatti, anche perché i vercellesi non bevevano più l’acqua di rubinetto e compravano l’acqua minerale Claudia o Ferrarelle, che hanno un tenore di manganese da 5 a 20 volte più alto di quello che stava nella loro acqua potabile e che con tanta fatica si era eliminato.
Si può supporre, infatti, che qualcuno decida di imbottigliare l’acqua del Vercellese così come esce dalla falda e senza trattamenti, vendendola come acqua minerale a mille lire al litro. In questo caso la stessa acqua sarebbe perfettamente regolare, anzi potrebbe vantare in etichetta un contenuto di manganese “indispensabile ai processi enzimatici…” eccetera, eccetera. Infatti, per l’acqua minerale non c’è alcun limite né per il manganese né per gli altri minerali come ferro, cromo, sodio, magnesio, mercurio, berillio, eccetera.
Solo per l’acqua potabile esistono valori massimi che non possono essere superati, oltre a “valori guida” che sono quelli consigliati e che dovrebbero corrispondere a un’acqua del tutto “desiderabile”.
L’acqua minerale, però, non può essere trattata con i composti del cloro per impedire la proliferazione microbica e ciò spiega perché non ha il cattivo sapore che talvolta presenta quella che esce dal rubinetto. In verità c’è un motivo per esonerare le acque minerali dai limiti di concentrazione delle sostanze minerali.
Un’acqua ricca di calcio, di ferro, di magnesio, di bicarbonato, eccetera, può essere indicata per determinate disfunzioni dell’organismo, tanto è vero che è permesso vantare in etichetta termini come “calcica”, “magnesiaca”, “solfata”, “sodica”, eccetera, insieme agli effetti positivi, utili per orientare l’acquisto del consumatore che ne ha bisogno.
Ma come si spiega l’assenza di un limite anche per sostanze tossiche come l’arsenico, il cadmio, il mercurio o il piombo? Francamente non si spiega, anzi si spiega ancora meno perché queste sostanze tossiche, se ci sono, non devono neanche essere dichiarate in etichetta se non superano determinate concentrazioni.
In altre parole, può esserci arsenico in quantità illimitata e, se non supera i 0,2 milligrammi per litro, non deve essere dichiarato nella composizione analitica dei minerali in etichetta.
Il decreto ministeriale n. 542/1992 ha permesso di non specificare in etichetta 19 sostanze tossiche o indesiderabili, qualora non raggiungano una determinata concentrazione.
Fra queste, vi sono anche il cadmio (non dichiarato fino a 10 microgrammi/litro), il nichel, che addirittura non ha alcun limite, il cromo trivalente, che pure non ha alcun limite ed è quello maggiormente presente nelle acque, eccetera.
Inoltre, i nitrati, che sono indizio di inquinamento e precursori di sostanze cancerogene, non devono essere dichiarati se non superano i 45 milligrammi per litro, oppure i 10 milligrammi nel caso di acque destinate all’infanzia, ma nelle acque con più di 10 milligrammi non c’è alcuna avvertenza di rischio per l’infanzia.
Si tratta di lacune normative difficilmente comprensibili per il consumatore e che, fra l’altro, rendono molto discrezionale il riconoscimento e l’autorizzazione alla commercializzazione di un’acqua minerale, anche perché mancano i test di tossicità di queste sostanze, i cui valori massimi ammessi nell’acqua potabile sono molto bassi e i valori consigliati sono zero.
Ci sarà pure un motivo.
Intanto, un recente decreto legislativo (n. 339/1999) ha ammesso un altro tipo di acqua imbottigliata che è mezza sorella dell’acqua minerale e che tra poco si troverà in vendita.
Si chiama “acqua di sorgente” e dovrebbe provenire dalle migliori sorgenti dalle quali si preleva anche l’acqua immessa nella rete idrica.
Per ora, si differenzia dall’acqua minerale proprio perché non deve superare i medesimi, severi limiti di componenti indesiderabili previsti per l’acqua di rubinetto, come arsenico, cadmio, cromo, piombo, ammoniaca, nitrati, eccetera.
Sulla carta, quindi, l’acqua di sorgente è qualitativamente superiore a quella minerale, ma per quanto?
Il decreto legislativo dice “fino all’emanazione” di un paio di decreti del ministero della Sanità che dovranno regolare tale materia.
Per il resto, l’acqua di sorgente e l’acqua minerale sono sorelle, nel senso che: per ottenere l’autorizzazione devono essere “valutate” sul piano microbiologico, ma non ci sono limiti alle cariche microbiche come quelli previsti per l’acqua di rubinetto; però non possono essere sottoposte a trattamenti con il cloro o con altre sostanze battericide; tuttavia possono avere diversi trattamenti, come l’ozonizzazione, che secondo il decreto dovrebbe servire a separare sostanze indesiderabili come ferro, manganese, zolfo e arsenico; ma l’ozono è anche un forte battericida, sebbene scompaia dopo una ventina di minuti e non lasci cattivi sapori come il cloro (ma può innescare reazioni chimiche generando altre sostanze indesiderabili); inoltre, fra i trattamenti permessi ne sono previsti genericamente altri “diversi da quelli menzionati” che praticamente danno mano libera agli imbottigliatori, a condizione che non comportino una modifica dei componenti essenziali dell’acqua.
Il decreto non è opera del legislatore italiano, è stato emanato in attuazione di una Direttiva comunitaria e sembra paradossale e un po’ schizofrenico che la CE pretenda il massimo dell’igiene nelle malghe di montagna ove si fanno i buoni formaggi di una volta e sia invece di manica così larga con gli imbottigliatori di acqua.
Un piccolo giro di vite è stato dato soltanto alle etichette, sia dell’acqua di sorgente sia di quella minerale, che devono riportare gli eventuali trattamenti permessi; ma mentre per l’acqua di sorgente la prescrizione è perentoria, per l’acqua minerale è più sfumata, in quanto dipende dal decreto di riconoscimento.
Inoltre, quella di sorgente non può dichiarare proprietà favorevoli alla salute, mentre la minerale potrà farlo solo se previsto dal decreto di riconoscimento.

Ultimo aggiornamento

12 Settembre 2014, 17:29

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