Pensioni, il cumulo degli spezzoni contributivi non è gratuito. Ecco le novità (da DoctorNews33 del 23 marzo 2017)

Data:
23 Marzo 2017

Con la nuova Finanziaria, abbiamo parlato di novità gradita, di cumulo pensionistico gratuito degli spezzoni contributivi. Purtroppo non è del tutto vero. Lo stato in realtà ha tolto i costi aggiuntivi, ma si continua a pagare. E non solo a suon di contributi e relative tasse. Il dipendente pubblico paga con una penale occulta sulla buonuscita. Infatti la stessa Finanziaria 2017 prevede che i soldi del Tfr in caso di cumulo si prendano dopo, con un potere d’acquisto impoverito. L’allarme lo lancia il vicepresidente della Federazione sanitari pensionati e vedove (Federspev) Marco Perelli Ercolini. «Partiamo dall’esistente disparità nei Tfr di dipendenti pubblici e privati. il lavoratore privato percepisce il Tfr entro 2-3 mesi. Il pubblico dipendente non solo non può richiedere anticipi dell’Indennità premio di servizio, se assunto ante-2000, o del Trattamento di fine rapporto, ma addirittura è pagato dopo alcuni anni dalla cessazione dell’attività lavorativa. E la distanza di tempo cresce se ci si pensiona per anzianità anziché per “vecchiaia”».
Ora con la Finanziaria la distanza cresce ancora. Non per tutti i pubblici dipendenti ma “solo” per chi ha scelto l’opzione del cumulo degli spezzoni di pensione concessa da quest’anno. «Spero di aver interpretato male ma leggo che il pubblico dipendente -che già percepisce il Tfr un anno dopo il pensionamento a qualsiasi età- in caso di cumulo avrà diritto a prendere il Tfr solo un anno dopo il compimento dell’età pensionabile se va via per vecchiaia, e due se i motivi sono altri. C’è una penalizzazione a seconda dei motivi per cui ci si è pensionati; e si prospetta un ritardo pesante nel percepimento del diritto». Osserva Perelli: «Al comma 196, passato inosservato, c’è scritto che per i lavoratori di cui al decreto legislativo 165/2001 articoli 1, comma 2 (scuole, regioni province comuni Asl e ospedali del Ssn, Aran Coni etc), e 70, comma 4 (ministeri, forze dell’ordine), nonché per il personale degli enti di ricerca che si avvale del cumulo la decorrenza della dilazione inizia dall’età pensionabile. Che ricordiamo, questo 2017 per la legge Fornero cui si fa rimando è 65 anni per le dipendenti,  65 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome, 66 anni per i lavoratori dipendenti e autonomi. Beninteso, nel 2018 l’età crescerà ancora…» Quanto sarà il ritardo? «Già adesso per tutti i dipendenti pubblici in caso di inabilità o decesso il diritto decorre entro i 105 giorni, i tempi tecnici per il calcolo; ma per raggiunti limiti d’età o cessazione d’ufficio (età pensionabile) si aspetta un anno più i 3 mesi del calcolo e così per anzianità e scadenza di contratti a termine; invece per dimissioni volontarie o destituzione si aspettano 2 anni più i soliti 90 giorni. Ma per chi ha un’alta liquidazione il pagamento è ulteriormente frazionato, 50 mila euro subito, altri 50 mila l’anno dopo, il residuo al 3° anno». Ma perché le dilazioni? «Viene un pensiero. Nel pubblico non c’è mai stata la capitalizzazione, i contributi versati dal signor Rossi andavano a finire nel calderone dello Stato. Quando l’Inpdap è passato nella gestione Inps, la cassa era vuota e come pagare le buonuscite?  Evidentemente si è scelto di “Ibernare” la situazione, procrastinando i pagamenti, giocando anche sul fatto che a distanza di anni questi soldi diventano un semplice debito di valuta, svuotato in parte dell’originario poter di acquisto». Perelli ricorda che il comma abbraccia tutte le «indennità di fine servizio comunque denominate. E che i pubblici dipendenti già subiscono un’altra discriminazione rispetto a quelli del privato. Infatti, contribuiscono per una parte (il 2,5%) alla buonuscita, «dal pensionando che prenderà l’Ips per la quale la quotina è dovuta, a chi dal 2000 è assunto sapendo che avrà il Tfr che per legge dovrebbe essere tutto a carico del Ssn datore di lavoro (come hanno ribadito tribunali e persino la Consulta). Mi chiedo se i sindacati ignoreranno ancora il problema come hanno fatto con gli assunti dal 2000 costretti a pagare il 2,5% dei contributi per il Tfr che invece dovrebbero  essere tutti a carico del datore del lavoro».

Mauro Miserendino

Ultimo aggiornamento

23 Marzo 2017, 08:17

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