Medici in fuga dal Ssn per andare nel privato, casi in aumento. Fnomceo: fenomeno rischioso (da DoctorNews33 del 3 maggio 2018)

Data:
3 Maggio 2018

nella foto Giovanni Leoni vicepresidente Fnomceo e medico ospedaliero
«Perché si lascia il pubblico a 55-60 anni? Per far emergere che cosa si sa fare, o per avere migliorie economiche, meno facili nell’ospedale Ssn dove le chance di crescita sono sempre meno. Ma soprattutto si va via perché nel pubblico norme da rivedere equiparano i compiti di medici sempre più anziani a quelli che si affidano ai giovani. Tra l’altro, con un aumento generalizzato dell’età dei medici e la diminuzione della forza lavoro in branche dove ci sono più pensionandi che neo-specialisti, si aprono sbocchi prima impensabili, anche nel privato, e le équipe si “diradano”. Insomma, l’esodo dei medici che lasciano il Servizio sanitario nazionale non ci allarma come Ordine solo perché il Ssn offrirà di meno, ma anche perché corrisponde a uno spopolamento di tutta la sanità, in genere da reparti dove si offrono prestazioni complesse a costo di grandi sacrifici ad altri con una casistica meno complessa. Chi queste cose le vive ravvisa il rischio di un impoverimento di tutta l’offerta sanitaria». Giovanni Leoni vicepresidente Fnomceo e medico ospedaliero, porge la sua riflessione a valle degli articoli di DoctorNews che confrontano i motivi per cui i medici dipendenti lasciano oggi il Ssn anche a ridosso del pensionamento con quelli che li animavano – molti meno, in realtà – ad andarsene 20 anni fa.
Due dati colpiscono: la recente ricerca Fiaso che testimonia come a fronte di 4 medici dirigenti su 5 disposti a difendere il Ssn “sempre e comunque”, un quinto non ne può più di guardie e pronte disponibilità; e ancora, nelle classi medie di chi si trasferisce al privato, il prevalere della speranza che una volta fattisi le ossa in quel mondo si possa ritornare al pubblico con un titolo e compiti organizzativi da “spendere”. Ci sono tanti privati diversi in Italia : dal privato “vero” dell’Odontoiatria , fino al 96% del globale , che unisce caratteristiche scientifiche ed imprenditoriali, al privato convenzionato: dobbiamo definire intanto dove si indirizzano i colleghi», spiega Leoni. «Nella rete ospedaliera italiana prevale la sanità privata convenzionata le cui prestazioni sono comunque a carico Ssn, e a volte a carico di assicurazioni private. In questo privato, l’incarico specialistico di norma è ricoperto da chi esce dal pubblico con una professionalità riconosciuta in un settore e vorrebbe concentrarsi sulle cose che meglio sa fare; a loro volta, i medici più giovani spesso entrano per ricoprire servizi di guardia a livello libero professionale, in attesa di un domani migliore. L’attività vi è principalmente svolta in elezione, su patologia di base o di media difficoltà, ma diffusa, che non ha riposte in tempi simili nel pubblico. Per fortuna le patologie davvero difficili sono più rare del quelle di livello normale, sarebbe drammatico il contrario».

«Naturalmente – continua il Vicepresidente Fnomceo – nel privato convenzionato ci sono punte di eccellenza riconosciute che affrontano anche patologie di altissima specializzazione con leader di settore, in genere formati nel pubblico; l’aspetto formale e di confort non è trascurabile; l’aspetto economico – il rimborso regionale per la prestazione eseguita – è parte integrante del processo. In sintesi, a fronte di un impegno intensivo i medici che vanno nel privato a lavorare hanno nel complesso possibilità maggiori e riscontri più gratificanti. Intanto però il SSN prende in carico tutti, i pazienti più gravi, i poli-patologici, i cronici scompensati, le urgenze. E in ortopedia, chirurgia generale, medicina interna, cardiologia, l’urgenza assume incidenze sul lavoro che causano, anche in professionisti dedicati, per i carichi eccessivi, uno stress che nel tempo rende desiderabile un cambio di ruolo. Un conto sarebbe se in ospedale si potesse contare su tutti gli effettivi. In realtà negli ultimi anni il mancato turnover ha fatto saltare le proporzioni tra le classi di età dei sanitari. L’equiparazione dei ruoli senza il rispetto dell’anzianità di servizio fa sì che medesimi incarichi, le guardie notturne ad esempio, siano affidati a medici con 35 anni di differenza. Nel contempo -continua Leoni– il codice di comportamento aziendale, che prevede sanzioni fino al licenziamento per chi dissente, pone un grave limite per la vita democratica del lavoratore. Ciò è considerato frustrante da un numero crescente di colleghi. Sull’altro piatto della bilancia, dove c’è una presenza universitaria di spessore, può essere gratificante nel pubblico la possibilità di impegnarsi nella ricerca, seguendo il desiderio innato del medico di studiare l’uomo e le sue malattie. Ma anche questo in Italia è difficile, basti pensare che negli Usa la nazionalità più rappresentata tra i medici di “importazione” è italiana! Insomma «il gap sta crescendo a svantaggio del pubblico ed è tempo di affrontare il tema a livello deontologico e contrattuale: due aspetti inscindibili».

Mauro Miserendino

 

Ultimo aggiornamento

3 Maggio 2018, 13:23

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