L’Ebm è in crisi? (da Il Sole 24 Ore Sanità del 6 ottobre 2015)

Data:
7 Ottobre 2015

 di Luca De Fiore (Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane)

 

Alcuni milioni di euro: questo è il budget che i documentalisti di una Regione italiana di media grandezza devono allocare ogni anno come spesa per l’acquisizione di risorse bibliografiche utili al personale sanitario. Diverse realtà si sono organizzate, alcune dando vita a biblioteche online di respiro regionale, altre – ispirandosi alla prima esperienza del Sistema bibliotecario biomedico lombardo – mettendo in rete numerosi centri diversi, legati dal comune obiettivo di rendere più facile e completo possibile l’accesso di medici, infermieri, farmacisti alle fonti di informazione. Nonostante un impegno sempre più diffuso, la realtà italiana si presenta a macchia di leopardo e, accanto a Regioni virtuose, convivono situazioni in cui la consultazione di un database o il download del full-text di un lavoro è un miraggio. E anche quando teoricamente tutto dovrebbe funzionare, gli ostacoli all’accesso al “dato” sono sempre in agguato: mancanza di tempo, connessione imperfetta, distanza delle postazioni web dal letto del paziente .

Finisce che medici e farmacisti siano più efficienti nel produrre nuova letteratura scientifica che nell’utilizzarla: ogni giorno 6mila nuovi articoli affollano le 30mila riviste scientifiche indicizzate sulle banche dati internazionali e alla quantità non corrisponde una crescita della qualità delle pubblicazioni. Questo è lo scenario che ha motivato diversi protagonisti della scena internazionale a dichiarare lo stato di crisi per la evidence-based medicine. La prima è stata Trisha Greenhalgh, con un articolo uscito sul Bmj che ha provocato un’ondata di repliche, commenti e interventi sia sulle riviste internazionali sia sui social media. Ma le critiche alla Ebm provengono soprattutto dal suo interno, da ricercatori che hanno realmente a cuore la crescita di un approccio che – a distanza di oltre venti anni dalla sua prima formulazione – mantiene inalterato il proprio valore etico e metodologico.
Di questi problemi si parlerà a Roma, nel pomeriggio di giovedì 8 ottobre, nella sessione di apertura del congresso nazionale della Società Italiana di Farmacia e Terapia: l’Ebm è in crisi?

Si discuterà di una possibile crisi di credibilità : serve una riflessione seria per studiare le strategie utili a minimizzare l’influenza dei legittimi obiettivi dell’industria soprattutto in un momento in cui è in atto una sorta di ripensamento delle politiche sui conflitti di interesse soprattutto in campo editoriale. Deve inoltre essere garantita la pubblicazione e la visibilità a tutti gli studi sostenendo campagne come la Alltrials che ha come obiettivo la più ampia disclosure della documentazione depositata presso le agenzie regolatorie internazionali. Il disegno dei trial dovrebbe essere sempre più aderente alla cosiddetta real life ma dovrebbe soprattutto favorire il confronto tra l’intervento in studio e il migliore trattamento disponibile. Come sostiene Giuseppe Traversa, relatore alla sessione sulla Ebm del congresso Sifact e ricercatore dell’Istituto superiore di sanità, «È necessario concentrarsi sulla comparative effectiveness research e anche in quest’ottica il confronto con il placebo è oggi eticamente inaccettabile, non tanto – o non solo perché espone i pazienti a un non-trattamento – ma perché è la premessa per dei risultati inutili o comunque poco vantaggiosi per chi deve assumere decisioni cliniche».

«La gerarchia delle evidenze, la famosa ‘piramide’ con al culmine le revisioni sistematiche e alla base l’osservazione del caso clinico, ha perso di senso», ammette Antonio Addis, del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio. «Non possiamo più affidarci a un tipo di fonte sulla base di un suo teorico primato perché il problema è nella qualità e nel rigore metodologico che hanno informato il lavoro dei ricercatori. D’accordo: revisioni sistematiche e metanalisi dovrebbero rivelarsi più affidabili, ma molto dipende dalla loro conduzione e dalle scelte operate in fase di inclusione o di esclusione degli studi. Ciò non vuol lasciare spazio – precisa Addis – ad una sorta di ‘pensiero debole’ della ricerca clinica: queste perplessità non sono la premessa ad un recupero del ruolo del presunto ‘esperto’ le cui posizioni possano essere considerate più importanti dei risultati di studi condotti in modo irreprensibile».

Ne deriva un’altra sfida: l’importanza di formare il personale sanitario alla valutazione critica delle fonti, suggerendo di preferire alle fonti originarie le pubblicazioni secondarie indipendenti che riportano sintesi critiche della letteratura. Come dicevamo in apertura, diverse Regioni italiane mettono a disposizione di medici, farmacisti e infermieri degli strumenti di consultazione molto utili. Anche la Regione Lazio sta lavorando per offrire al personale sanitario l’accesso ad UpToDate, database molto utilizzato a livello internazionale. Non a caso l’accesso a questo strumento da parte di diverse Asl della Regione Lazio è possibile attraverso la biblioteca Regionale online intitolata ad Alessandro Liberati, fondatore del Centro Cochrane italiano [www.bal.lazio.it], il medico italiano che per primo e con maggiore passione si è speso per la diffusione dei principi della evidence-based medicine nel nostro Paese.

Accedere alle fonti è un momento chiave del lavoro di un professionista sanitario ma non è sufficiente. «Il lavoro di un revisore sistematico della letteratura scientifica – avverte Tom Jefferson, ricercatore della rete Cochrane – è reso sempre più difficile dalla difficoltà di distinguere tra fonti affidabili e dati distorti: sono sempre più numerosi gli esempi di studi controllati randomizzati falsificati o pubblicati in modo selettivo così che si rende sempre più necessario – se non indispensabile – l’accesso diretto dei ricercatori indipendenti ai dati contenuti nel Clinical Study Reports, depositati dalle aziende presso la European Medicines Agency o presso la Food and Drug Administration statunitense al momento della richiesta di approvazione di nuovi prodotti».

Investire in conoscenza è il principale alleato della appropriatezza clinica e organizzativa: una ricerca della Mayo Clinic ha evidenziato che la consultazione per 20 minuti al giorno per un anno di un “point-of-care tool” costruito e aggiornato in base ai principi della Ebm migliora le capacità professionali come un anno di specializzazione post-laurea. La disponibilità di fonti secondarie basate sulle prove riduce gli esami diagnostici richiesti e i giorni di degenza ospedaliera.

ebm

Ultimo aggiornamento

7 Ottobre 2015, 08:22

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